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Porsche 356 Speedster, i perché di un mito

Autore: Michele Di Mauro · Credits Ph: Archivio Michele Di Mauro

3 Dicembre 2022
Porsche 356 Speedster, i perché di un mito

Il mercato, lo sappiamo, va così: fluttuazioni, trend nelle gare di regolarità e rally storici, assieme magari a politiche commerciali più o meno azzeccate delle case ancora operative, influenzano costantemente la popolarità e le quotazioni delle auto classiche. Modelli incredibilmente richiesti e gettonati oggi, diventano noiosi e “stanchi” domani, a favore magari di altri che invece sonnecchiano indisturbati e trascurati per decenni, salvo poi impennarsi improvvisamente con buona pace di conservatori e detrattori.

Ma non è così per tutti. Ci sono modelli “icona” che solcano i decenni indisturbati, sempre sulla cresta dell’onda, infischiandosene di mode e tendenze. Tirano sempre, insomma.

Porsche 356 Speedster

Se dovessimo scegliere una tra le evergreen più rappresentative, con una curva di richieste e quotazioni costantemente in crescita, non potremmo che puntare il dito su di lei, la Porsche 356 Speedster.

Cerchiamo di capire insieme quali sono le ragioni di questo successo incontrastato e perché una vettura apparentemente così semplice e di origini popolari (di base è un’evoluzione sportiva del Maggiolino, “l’auto del popolo”) è diventata un’icona e una delle automobili sportive più apprezzate di tutti i tempi.

Anzitutto, partiamo da un presupposto: quello che oggi è un grande classico, probabilmente in una fase della sua vita ha rappresentato un forte elemento di novità. Un concetto che andrebbe ripetuto a mo’ di mantra a tutti coloro che oggi guardano costantemente indietro, perché “una volta era tutto meglio”. Se non siamo aperti alle novità oggi, non avremo grandi classici domani.

Adesso facciamo un salto indietro di ottant’anni. Il mondo arriva alla seconda guerra mondiale con l’idea che un’auto sportiva corrispondesse più o meno a questa descrizione: due fari sospesi, appollaiati su un lungo cofano rettangolare, ai cui fianchi sfilano flessuosi due ancor più lunghi parafanghi separati, che fasciano ruote a raggi alte e sottili. Sotto al cofano, una fila di pistoni disposti longitudinalmente, anticipati da un monumentale radiatore verticale. Pensiamo alle potenti Alfa Romeo o alle svelte e leggere MG. Nei primissimi anni del dopoguerra, nonostante la necessità di recuperare quel poco a disposizione e industriarsi per tirar fuori qualcosa di nuovo e divertente, poco cambia.

Ecco, in tale contesto, proviamo a immaginare l’impatto di una piccola vetturetta sportiva con queste caratteristiche: forma simile a una vasca da bagno rovesciata, niente lamiere piane, motore boxer (!), raffreddato ad aria (!!) e, udite udite, posteriore! Una follia tale da far sembrare reazionari gli attuali sostenitori dell’auto elettrica. Chi, all’epoca, avrebbe scommesso un centesimo sul fatto che quella piccola automobilina nota al mondo come Porsche 356 Speedster sarebbe diventata una delle le auto da collezione più ricercate del 21° secolo?

Beh, per nostra fortuna, nonostante fosse altamente improbabile, qualcuno lo ha fatto. Consolidando le umili fondamenta di una piccola azienda familiare e consegnando di fatto alla storia uno dei brand più duraturi e celebri dell’automobilismo sportivo. Delineando, in qualche modo, i tratti essenziali dell’archetipo dell’auto sportiva, nati da una pura quanto previdente intuizione commerciale, e tuttora validi.

Porsche 356 Speedster

La Speedster nasce quando Porsche è alle prese coi prototipi della sua 356. Il celebre importatore e distributore americano Max Hoffman interviene durante i lavori con la richiesta di sviluppare un’auto sportiva a basso costo per competere con le piccole e divertenti Triumph ed MG, di cui i soldati americani si sono innamorati durante la guerra e che hanno poi riportato a casa, favorendone la diffusione. La visione di Porsche si dimostra ancora una volta coraggiosa e lungimirante e, soprattutto, controcorrente.

Per opporsi al fascino british di legni, pelli e particolari leziosi, egli procede nella direzione diametralmente opposta, creando un’auto assolutamente scarna, che è però un’autentica bandiera della purezza delle sensazioni di guida: linee essenziali ed equipaggiamento minimo compensati da una meccanica brillante e soprattutto affidabile. Qualcosa di talmente bello ed elegante nel suo minimalismo da riuscire ad offrire emozioni a profusione ancora oggi, dopo sette decenni. In altre parole, un’icona.

Tuttora non esiste un libro di auto sportive che non parli di lei: la 356 Speedster è costantemente e ininterrottamente citata da storici, designer e giornalisti del motorsport come una delle auto sportive più influenti del 20° secolo.

Porsche 356 Speedster

Ed è inutile girare intorno alla vettura alla ricerca dell’ingrediente segreto che la rende, a distanza di generazioni, ancora così coinvolgente. La risposta non è un singolo elemento, ma nel modo, assolutamente equilibrato e coerente, in cui Ferdinand Porsche è riuscito ad ottenere un oggetto avvincente.

Se analizzata in dettaglio, infatti, la pagella della Speedster non è delle migliori: figlia di un’aerodinamica acerba ed empirica, non è particolarmente penetrante né tantomeno veloce. La meccanica non è raffinata, e l’inconfondibile borbottio del quattro cilindri, oltre a provenire dalla parte sbagliata dell’auto, non è nemmeno particolarmente accattivante. Oggi lo si apprezza per le sue note singolari e personali, ma immaginate negli anni cinquanta cos’era sentirlo a fianco di un V8 americano o un 12 cilindri italiano. Che, oltretutto, si guidavano in tutt’altro modo.

Porsche 356 Speedster

Ma buona parte del successo sta proprio qui: la 356 all’epoca non eccelleva in nulla ma aveva la giusta dose di… tutto! Facile da guidare, ben bilanciata ed emozionante da portare al limite, parca nei consumi ed economica nella gestione, personale nello stile e nell’architettura. E friendly pure nell’aspetto, con quel musone tondo, senza griglie, che sembra sorriderti come un grosso Barbapapà. La Speedster semplicemente non assomigliava a nient’altro di visto fino ad allora.

E in breve è cresciuta al punto da conquistare i circuiti di mezzo mondo e, contemporaneamente, i garage dei divi del cinema, da Steve McQueen a James Dean. Con pochi cavalli, è vero, ma senza mai lasciarli a piedi. Una macchina capace di scrollarsi di dosso, in meno di un decennio, il ricordo di quanto di peggio potesse all’epoca evocare un documento di produzione scritto in tedesco.

Porsche 356 Speedster

Oggi guardiamo alla 356 Speedster col sorriso che una “faccia” del genere non può non strapparti. Ma anche con la consapevolezza che una macchina così non la rivedremo mai più: troppo piccola, troppo esile, troppo basica, troppo sottile e leggera per gli standard di sicurezza di oggi. Talmente poco protettiva che un giornalista americano la definì qualche anno fa “l’equivalente automobilistico di un bambino che corre con le forbici in mano”.

Ma è proprio qui che sta uno dei suoi segreti più grandi: fascino vintage, purezza estetica e ingegneria sapientemente elementare racchiusi in una combinazione che semplicemente non si ripeterà mai più. Delle auto che si producono oggi, Porsche incluse, nessuna incarna quel sentimento di libertà e puro piacere di guida che una 356 Speedster sapeva, e sa tuttora, esprimere.

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Porsche 356 Speedster

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