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Calibra e Tigra: gli anni d’oro delle coupé Opel

Autore: Michele Di Mauro · Credits Ph: Michele Di Mauro

17 Maggio 2023
Calibra e Tigra: gli anni d’oro delle coupé Opel

Fino alla fine degli anni ottanta il marchio Opel è sinonimo di buone auto, solide, oneste ma, diciamoci la verità, abbastanza noiose. Nemmeno la Manta, slanciata coupé lanciata nel 1970, riesce a scrollare via l’immagine austera di un brand scelto prevalentemente da artigiani, operai e impiegati.

Le cose cambiano, a sorpresa, alle soglie degli anni novanta. Sulla scia del nuovo corso di design lanciato con la Vectra l’anno precedente, nel 1989 la casa di Rüsselsheim sfodera a sorpresa un modello in grado di lasciare letteralmente senza fiato pubblico e concorrenti: con una silhouette degna di un prototipo e un Cx record di appena 0,26, irrompe sul mercato la strabiliante Calibra.

Calibra: un prototipo per famiglie

Prodotta dal 1990 al 1997, la Calibra ha anzitutto due meriti importanti: risolleva l’immagine di Opel, rendendolo un marchio portatore di valori nuovi, freschi e legati al piacere di guidare ma anche solo di guardare un’automobile, e risolleva pure il fascino delle coupé, offuscato da un decennio, gli anni ottanta, in cui le “hot hatch”, ovvero le compatte prestazionali, hanno monopolizzato il segmento delle sportive.

Il favoloso disegno della carrozzeria è opera dell’allora capo del design Opel Erhard Schnell e dei suoi collaboratori, su tutti Wayne Cherry. Il quale riesce in maniera fantastica a disegnare linee mai viste in casa Opel, eppure perfettamente inserite nei nuovi stilemi di riferimento della casa. Il frontale appuntito senza calandra, segnato dai gruppi ottici poliellissoidali alti appena 7 centimetri, l’assenza di montanti centrali sul padiglione sfuggente, la coda affusolata coi grandi gruppi ottici trapezoidali, sintetizzano al meglio il concetto di berlinetta sportiva dell’immaginario degli anni novanta. Il tutto abbinato a quattro posti reali, un bagagliaio capiente (300/900 litri) e un abitacolo confortevole e versatile, con lo schienale posteriore divisibile 40/60 e, che non guasta, costi di gestione accessibili. Davvero parliamo di una Opel?

Sì, una Opel. E infatti, a bilanciare un’estetica tanto emozionante e avveniristica, c’è comunque un rovescio della medaglia concreto e pragmatico. La base meccanica su cui nasce la Calibra (passo compreso) è quella della prima generazione della Vectra, seppur adattata ad un’impostazione generale più sportiva: motore anteriore trasversale e trazione anteriore, scocca portante con telaietti ausiliari all’avantreno, di tipo MacPherson, e al retrotreno, a ruote indipendenti con bracci obliqui, come sulle Vectra sportive. Idem per l’impianto frenante, a dischi autoventilanti all’avantreno e pieni al retrotreno, con ABS di serie.

Di evidente derivazione Vectra anche gli interni. Layout e materiali sono gli stessi, e in effetti alle forme ardite dell’esterno non corrisponde un interno altrettanto di impatto: plancia e comandi condividono lo stile col resto della produzione, fatto di forme ortogonali, funzionali, ergonomiche ma dal taglio decisamente classico. Oltre al volante in pelle e a una leggera profilatura dei bei sedili in velluto, si sente la mancanza di un imprinting realmente sportivo. Una carenza evidente soprattutto per quanto riguarda la strumentazione, col contagiri relegato a elemento secondario e coi quadranti semicircolari che di grintoso hanno davvero poco.

Compromesso che piace

Questo perché, al suo esordio, la Calibra punta a stupire più per le forme che per le prestazioni: le prime due motorizzazioni disponibili sono entrambe quattro cilindri benzina da 2 litri: 2.0i monoalbero 8 valvole da 1998 cc e 115 cavalli, e 2.0i 16v, con testata bialbero a 4 valvole per cilindro e potenza massima di 150 cavalli, entrambi a iniezione e catalizzati, abbinati a un cambio manuale a 5 marce o, richiesta per la versione meno potente, un automatico a 4 rapporti con convertitore di coppia.

Ma è probabilmente proprio grazie all’approccio prudente della Calibra, in virtù anche del periodo buio per le grosse coupé, che il successo è travolgente: il primo anno di produzione fa segnare un +50% rispetto alle previsioni, che diventa addirittura +200% l’anno successivo.

Un risultato che coglie di sorpresa la stessa Opel, costretta a delegare parte della produzione allo stabilimento Valmet di Uusikaupunki, in Finlandia e a impostare nuovi, inattesi, sviluppi di gamma.

È così che a marzo 1992 arriva la versione Turbo 4×4 da 204 cavalli e cambio a 6 marce. Evoluzione della 16v aspirata, la Calibra 2.0 16V Turbo 4×4, con la trazione integrale disinseribile sull’asse posteriore (disponibile per tutte le motorizzazioni al pari del cambio), raggiunge i 245 km/h, dopo uno scatto da zero a cento km/h in 6,8 secondi. Segnando, di fatto, l’ingresso in un segmento inesplorato per il marchio Opel.

La concorrenza insegue

La Calibra crea scompiglio nel moribondo settore delle Coupé da famiglia, dove all’epoca esiste praticamente solo la BMW Serie 3 E36. Gli altri marchi sono costretti a inseguire, ma le nuove uscite non impensieriscono più di tanto la bella tedesca, che continua a tenere botta grazie al lancio di nuovi allestimenti full optional come la Color Edition e, nel 1994, di un lievissimo restyling estetico (cosa vuoi migliorare su una linea così?) impreziosito dall’introduzione in gamma del V6 da 2,5 litri e 170 cavalli. Si tratta del primo motore della serie Ecotec in regola con le emissioni Euro 2, seguito dal nuovo duemila da 136 cavalli, che anticipa l’eliminazione dei vecchi due litri nell’estate del 1996, e l’uscita di scena del modello l’anno seguente, dopo quasi 240 mila esemplari e il vanto di aver rappresentato da sola, nella stagione 1992, un terzo dell’intero segmento delle sportive in Europa.

Un format da replicare: arriva la Tigra

Sulla scia del successo della Calibra, Opel decide di ripetere l’esperimento non rivitalizzando un settore, ma addirittura creandone uno nuovo: nel 1994 arriva la Tigra.

Disegnata ancora dal Centro Stile interno, ora diretto dal giapponese Hideo Kodama, la vettura ricalca fedelmente le forme viste sul prototipo dell’anno precedente: linea sportiva spiccatamente a cuneo, vistosi montanti centrali ricurvi e un grosso e personalissimo lunotto posteriore, realizzato in un vetro particolare in grado di ridurre di 4/5 gradi l’irraggiamento solare. Ma la novità vera è che la vettura si colloca tra le coupé sportive di segmento B, perché nasce da una costola della Corsa. Una fascia di mercato scoperta dai tempi della Fiat 850 Sport.

La formula introdotta con la Calibra funziona, per la seconda volta, alla perfezione: forme grintose ma pulite, tanta personalità, prezzi ragionevoli grazie alle sinergie con altri modelli del gruppo, prestazioni brillanti e costi di esercizio abbordabili anche per il pubblico dei giovanissimi, al quale il nuovo modello strizza l’occhio. Non c’è un neopatentato di metà anni novanta che non abbia sognato di regalarsi una Tigra!

Per questo l’unico vero punto debole della vettura l’abitabilità posteriore esigua, poco importa. Chi compra una Tigra nel 1994 non ha bisogno di portare con sé la famiglia. E infatti anche se la piccola sportiva di casa Opel esce teoricamente omologata per quattro, i passeggeri posteriori non devono superare i 160cm.

Perfetta da subito

Al lancio la Tigra esce con due motori Ecotec a benzina, dotati di iniezione elettronica multipoint e doppio albero a camme: un 1.4 litri da 90 cavalli per 193 all’ora (il più diffuso) ed un 1.6 litri da 106 cavalli da 203 km/h, entrambi con distribuzione a 4 valvole per cilindro, derivati dalle versioni più pepate della Corsa.

Nel corso della sua lunga carriera, al pari della sorella maggiore Calibra, anche la Tigra subisce aggiornamenti minimi: dalla ristilizzazione di alcuni dettagli secondari all’aggiunta del terzo stop, all’inserimento di un circuito per abbassare il finestrino destro di qualche centimetro per alcuni secondi durante la chiusura del portellone per evitare compressioni d’aria nell’abitacolo.

Anche in questo caso, come avvenuto per la Calibra, la concorrenza è costretta a inseguire, con lancio di nuovi modelli per cavalcare l’onda del successo di Tigra. E, ancora una volta, l’originale conserva senza grossi pensieri la sua posizione di leadership fino all’uscita di scena, tra la fine del 2000 e l’inizio del 2001, anticipata pure stavolta dal lancio di versioni speciali full optional come la Rio Verde e la Limited Edition.

Prodotta in oltre 250.000 esemplari, anche la Opel Tigra deve gran parte del suo successo allo stile, sportivo e grintoso, inedito su una vettura così economica. A prima vista infatti nulla lascia presagire che sotto forme tanto ricercate e ardite, distanti dal resto della gamma, si celi banalmente la meccanica della vendutissima Opel Corsa di seconda generazione. La linea della Tigra era agile e originale allora, e lo è ancor di più con gli occhi di oggi.

Furba, divertente, versatile (il bagagliaio oscilla tra 215 e ben 700 litri) sfodera la praticità interna e la manovrabilità di una delle utilitarie best seller del segmento e un temperamento non estremo ma decisamente vivace, grazie all’aerodinamica curata e al peso appena al di sopra della tonnellata. Col plus di una dotazione di serie già completa di autoradio, alzacristalli elettrici, lunotto termico, interni in tessuto e velluto, orologio, indicatore della temperatura esterna e chiusura centralizzata. Tra gli irrinunciabili da comprare a parte restano solo i cerchi in lega sulla 1.4, il climatizzatore manuale e il lettore CD. Volendo, poi, ci sarebbero anche lo spoiler posteriore in tinta, i retrovisori elettrici, gli interni in pelle, i sedili riscaldabili e il tetto apribile elettrico.

Calibra e Tigra: nel coraggio la chiave del successo

Tigra e Calibra sono oggi due youngtimer in rivalutazione. In un panorama fatto quasi esclusivamente di auto grandi e goffe, l’equilibrio e la freschezza di queste due automobili, conditi con un ottimo bilanciamento tra sportività misurata e versatilità nel quotidiano, rappresentano ancora oggi un compromesso perfettamente dosato. E dopo trent’anni si fanno guardare ancora con piacere e con ammirazione dai tanti che ne apprezzano la personalità, nonostante la sobrietà generale e l’esemplare pulizia stilistica. Una bellezza, al pari delle prestazioni discreta, non strillata, qualcosa di cui dopo tre decenni sentiamo tanto la mancanza.

Entrambe hanno avuto il coraggio di aprire nuove strade e il merito di averle percorse da protagoniste fino a fine carriera, assurgendo ad icone degli anni novanta nei rispettivi segmenti. Chi ha vissuto quegli anni le ha guardate con ammirazione, le ha desiderate. E chi ha potuto, le ha acquistate, convinto dai costi di acquisto e gestione non troppo distanti dalle auto da famiglia di pari segmento. La Calibra è stata l’alternativa gratificante ad Astra e Vectra, un modo originale e decisamente più appagante per scarrozzare moglie e bambini; la Tigra l’alternativa fighetta alla Corsa per i neopatentati più fortunati e per le donne desiderose di distinguersi nel parcheggio del supermercato. Pazienza per le prestazioni o gli interni non esattamente all’altezza delle promesse estetiche, qui si bada a viaggiare comodi e con consumi contenuti. Si guarda alle cose concrete. Alla fine sono pur sempre due Opel.

Sogni accessibili

I due esemplari fotografati da Agorauto appartengono alla stessa coppia di proprietari, residenti in provincia di Roma. La Calibra è una 2.0 8 valvole del 1991, la Tigra una 1.4 16v del 1995. Entrambe rappresentan l’entry level delle rispettive gamme dell’epoca, la porta di ingresso ad un sogno accessibile. La Calibra è stata “rimessa un po’ su”, mentre la Tigra è un conservato strepitoso. Entrambe, accomodandosi al volante, restituiscono la sensazione di entrare in un’auto nuova: l’odore di plastiche e tessuti è lo stesso, inconfondibile, che si respirava all’epoca in autosalone.

Dopo anni di oblio, in cui si compravano per un pugno di spiccioli, le due coupé stanno beneficiando della forte nostalgia per questo tipo di vetture, abbastanza moderne da consentire un uso quotidiano confortevole, senza le complicazioni meccaniche ed elettroniche dei modelli più recenti. A differenza del passato, oggi gli esemplari più ricercati sono quelli nei colori più rari e insoliti, come l’ocra o il turchese. Essendo state molto sfruttate da nuove, oggi sono difficili da trovare in uno stato di conservazione pari a quello delle due vetture fotografate: in questo caso il prezzo può andare anche parecchio oltre le quotazioni medie (oggi tra 5 e 10.000 euro per entrambi i modelli), mentre per la V6 o la rara e prestazionale Calibra Turbo 4×4 diventa difficile stabilire un range di riferimento: il prezzo lo fanno la rarità, lo stato di conservazione, l’equipaggiamento e, ovviamente, il proprietario. Ma sono da considerarsi ragionevoli cifre nell’ordine dei 20.000 euro, anche più in caso di allestimenti particolari come quelli firmati dallo storico partner Irmscher.

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Opel Calibra Tigra

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